Palazzina Laf, il film uscito in questi giorni al cinema ci offre una 🔎 lente di ingrandimento sull’Ilva di Taranto che così tanto ha riguardato la salute delle persone e di tutta la comunità.

 🎥 In “Palazzina Laf”, Michele Riondino esordisce come regista con una storia molto sentita su Taranto, l’acciaieria Ilva e le condizioni dei lavoratori e del territorio.

Taranto, 1997. Caterino Lamanna (Michele Riondino) lavora alla famigerata Ilva. È un operaio siderurgico, abita in una casa fatiscente e ha una fidanzata albanese di nome Anna. Un giorno, Giancarlo Basile (Elio Germano), giovane dirigente dell’azienda, lo convince a diventare il suo “orecchio”, tra gli operai: Caterino dovrà riferirgli quali sono i (mal)umori, anche considerato che gli incidenti sul lavoro, alcuni mortali, continuano ad avvenire

Caterino si lascia convincere con poco, basta una vecchia auto usata e la prospettiva di fare una piccola carriera. Così ottiene successivamente di essere spostato di reparto e mandato nella cosiddetta Palazzina Laf (che sta per laminatoio a freddo): Caterino è convinto di aver fatto un colpaccio, perché pensa che quello sia un luogo per privilegiati, dove si lavora poco e non ci si spacca la schiena

📖 La vicenda è tratta dal libro Fumo sulla città di Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista scomparso nel 2017, a cui la pellicola è dedicata.

Se ne esce indignati e disturbati, ma Palazzina Laf era un film 📽 necessario da realizzare.

Per riflettere ancora una volta, purtroppo nell’Italia del 2023, sulla condizione operaia, sui maltrattamenti e le discriminazioni sul posto di lavoro, ma più in generale su un sistema produttivo che continua a trattare le persone come numeri e oggetti.

A volte, ed è stato evidente nel caso dell’Ilva di Taranto, anche ignorando tutte le conseguenze (fin mortali) della mancata sicurezza in fabbrica e dei risvolti sulla salute di un intero territorio martoriato e mortifero.

Recensione di Andrea Zummo, Libera Piemonte

 

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